Ormai è ufficiale: si è aperta di nuovo la stagione del il Toto-Papa.

Il tormentone lanciato sulla soglia dell’estate, a dire il vero, era già stato avvistato da anni. Faceva capolino sullo sfondo dei selfie che porporati e prelatoni in carriera spalmavano con generosità sui media di mezzo mondo per documentare le proprie performance intellettual-filantropiche. Evocazioni propiziatorie del Papa latente, quello che ancora non c’è ma già ci plana incontro sulle ali dello spirito del tempo, vibravano da quel dì nei fomenti ammiccanti dei circoletti mediatico-clericali. Adesso sono caduti anche gli ultimi falsi pudori. Lo spettro del Pontefice futuribile viene già sezionato nei corposi dossier confezionati dai ben informati, mentre il Papa in carica e anche quello emerito si ostinano a essere vivi. E la ritornante frenesia conclavaria (apparsa ora anche nella variante che evoca come imminente la rinuncia al Papato dell’attuale Vescovo di Roma per motivi di salute) si declina in forme inedite e senza precedenti, almeno dal punto di vista della mobilitazione pubblica e mediatizzata.

In Francia, una rete internazionale di autori presentati come «i migliori esperti vaticani del mondo» ha dato vita a una rivista pensata ad hoc per i membri del Collegio cardinalizio, inviata direttamente ai loro indirizzi personali con l’intento dichiarato di aiutarli a «conoscersi per prendere le giuste decisioni nei momenti importanti della vita della Chiesa». Un Postalmarket per porporati, intitolato “Cardinalis” (in latino) e stampato in quattro lingue come guida orientativa per fornire dritte, informative e criteri di giudizio ai partecipanti al prossimo Conclave, quelli che vengono definiti come «i principali consiglieri del Papa durante il suo pontificato», e che «eleggono il suo successore». La linea editoriale viene della rivista presentata dai fan come «conforme a quella dei Pontificati di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI», e si condensa in un vero e proprio “Memorandum per un futuro Conclave”, pubblicato sul numero di “Cardinalis” distribuito a aprile.

Il magazine per soli adulti in porpora sembra per certi versi una declinazione omeopatica e politicamente corretta del progetto presentato nel settembre 2018 presso la Catholic University of America da una squadra di cattolici super-ricchi, autoproclamati «Gruppo per un miglior governo della Chiesa». Progetto volto a predisporre un dossier su ogni singolo cardinale elettore di un futuro Conclave e orientare le scelte del Collegio cardinalizio. Quel progetto, denominato «Red Hat Report» («Rapporto Berrette Rosse»), grazie ai fondi raccolti in aggressive operazioni di fundraising doveva arruolare giornalisti “esperti” e ex agenti dell’FBI per colpire con dossieraggi mirati e campagne mediatiche i cardinali messi nel mirino, sponsorizzando con ritratti agiografici i porporati prediletti. Un ricorso palese ai metodi del lobbismo politico USA per pilotare le intime dinamiche ecclesiali implicate in ogni Conclave.

Nelle ultime settimane, il Toto-Papa è uscito dal recinto delle manovre intra-ecclesiastiche, sbarcando sulla grande stampa internazionale. A metà maggio, il quotidiano francese Le Figaro ha dato spazio a un lungo articolo sul clima di «confusione» da «fine del regno» che connoterebbe questa fase del Pontificato, dove si scontrano «due visioni della Chiesa» contrapposte, e «Molti stanno già pensando a cosa accadrà dopo». Negli stessi giorni, anche il quotidiano conservatore inglese The Times, descrivendo un Pontefice «consegnato alla sedia a rotelle», ha rastrellato il gossip della Curia romana per cucinare la suggestione di un Conclave «dietro l’angolo», tutto sospeso alla battaglia in atto «tra due fazioni», identificate nei «conservatori che detestano lo stile “misericordia-prima-del-dogma” di Bergoglio e i «Fan più liberal» di Papa Francesco, «che applaudono le sue aperture ai cattolici gay e ai divorziati».

Sotto lo sfoggio di effetti speciali e inedite strategie di comunicazione, il Toto-Papa disegnato dalle lobby e dai giornali di potere si riallinea lungo le solite griglie da Anni Settanta. Tradizionalisti vs nuovisti, conservative vs liberal, come in una eterna, ineluttabile, deprimente partitella estiva tra scapoli e ammogliati. Le agende e le bandiere identitarie delle squadre in concorso rispondono tutte a schemi vintage di fattura occidentale, con buona pace delle “conversioni pastorali” e delle “teologie del popolo” tirate continuamente in ballo nei formulari ecclesiastici degli ultimi anni. Come se direttrici, coordinate e frutti del recente, sofferto cammino ecclesiale avessero come bussola e criterio ultimo di valutazione la possibilità di piazzare in Vaticano qualche Papa un po’ più gay-friendly rispetto alle precedenti tornate conclavarie.

Lo schemino precotto conservative vs liberal viene applicato al presente e al futuro della Chiesa quasi fosse un destino imposto dagli Déi d’Occidente. Come se le ultime stagioni ecclesiali non avessero già svelato l’assoluta insufficienza delle presunte soluzioni e piste sponsorizzate dalle due posture.

Come se non fosse ormai evidente che una certa opzione neo-conservative è diventata un paradossale fattore di devastazione della Tradizione e della memoria cristiana, proprio perché ha trasmutato alcuni contenuti cristiani in Ideologia delle Granitiche Certezze, da investire in battaglie culturali appaltate a minoranze militanti in stato di permanente e eccitata mobilitazione, mentre tutt’intorno il deserto continuava a avanzare.

E come se – d’altro canto – l’opzione di chi crede di “orientare cristianamente” i flussi del moderno con operazioni-simpatia e corsetti di management pastorale non avesse già svelato la sua natura di brodo di coltura per nuovi narcisismi e trionfalismi chiesastici all’ultimo grido, fucina di nuovi moralismi ricattatori con cui infilzare le imperfezioni del mondo.

Le due posture, apparentemente tra loro in guerra all’ultimo sangue, rispondono in realtà ai medesimi riflessi condizionati. Le accomuna l’angoscia di dover fare i conti con la temutissima «irrilevanza» ecclesiale nella scena mondana, anche in termini di influenza delle dinamiche del potere. Più al fondo, le muove un comune brivido di terrore, un’ansia congenita di rimozione davanti al tratto di precarietà che segna ogni autentica esperienza cristiana, affidata per sua natura all’operare gratuito e non esigibile dello Spirito Santo. Una condizione di vertiginosa dipendenza dalla grazia che da sempre, nella Chiesa, si cerca di esorcizzare con «discorsi di umana sapienza» di ogni risma.

La fissità atemporale dei criteri e delle alternative imposti come regole del nuovo Toto-Papa svela anch’essa la loro siderale lontananza rispetto alla reale condizione della fede e del cristianesimo nel tempo presente. E’ facile prevedere che stavolta le pose dialettiche della solita introversione ecclesiale si polarizzeranno intorno a movenze e parole d’ordine accreditate come cifre e emblemi del Pontificato di Papa Francesco. E l’orizzonte già si popola di spauracchi.

C’è lo spauracchio del “rinculo reazionario”, agitato da chi punta a accreditarsi come prosecutore/continuista dei processi aperti durante il Papato corrente. È la linea apocalittica di quelli secondo cui – dicono – «indietro non si può tornare», perché «si perderebbe tutto». Per questo la priorità di chi agita questo spauracchio sembra quella di resistere a ogni vera o presunta operazione di retromarcia.

Lo spauracchio numero due è – appunto – quello della stagione di Papa Francesco dipinta come una iattura, una parentesi tragica da chiudere e consegnare all’oblio. Le reti che lo agitano hanno già iniziato da tempo i loro riti propiziatori, enfatizzando i tratti di malessere e le contraddizioni dell’attuale stagione ecclesiale.

Lo spauracchio numero tre è quello agitato da chi accolla a Papa Francesco il flop di una “rivoluzione incompiuta” e in parte anche “tradita” dallo stesso Pontefice argentino. I promotori di questo spauracchio trattano da tempo l’attuale pontefice come un utile pasticcione, che ha funzionato come ariete di sfondamento. Ma adesso sarebbe giunto il tempo in cui i dilettanti allo sbaraglio dovranno lasciare la scena ai professionisti. I tipi attrezzati per portare a dama la stagione del “caos creativo” e sistematizzare l’avvento della Chiesa dei Nuovi Tempi. La Chiesa dell’era del Metaverso.

La drammatizzazione intorno alla continuità/discontinuità tra il Pontificato di Papa Francesco e le future stagioni ecclesiali non serve ovviamente alla Chiesa e alla sua missione. L’enfatizzazione di quello schema psicodrammatico risulta invece familiare e funzionale al modus operandi di cordate e agenti ecclesiali che hanno già largamente approfittato di tali schemi polarizzanti negli anni del Papato bergogliano. I soggetti singoli e organizzati che hanno animato la coreografia della “lotta continua” intorno al Papa argentino, occultando l’evidenza – semplice, e quindi percepita dal sensus fidei del Popolo di Dio – che quando nella Chiesa ci si divide per partito preso e per troppo tempo sul Papa, tale fenomeno non può mai essere vissuto e spacciato come un sintomo di vivacità e di buona salute della compagine ecclesiale.

La polarizzazione attorno al Papa, a lungo andare, logora, esaspera, rende ottusi. Euforizza solo le cordate e le cricche. Avvilisce il popolo di Dio, che non cerca “nuove” Chiese. Non si inebria con le nuove “sfide” che tanto eccitano gli auto-occupati ecclesiali.

La lotta continua vissuta in questi anni intorno al Papa regnante ha avuto come effetto la crescita esponenziale di quella «autoreferenzialità» ecclesiale che pure viene oggi vituperata negli slogan più alla moda del nuovo linguaggio ecclesialese. A conferma che non c’è Chiesa più autoreferenziale e rattrappita di quella che pretende di salvarsi da sola dai propri malanni e dalle voragini che la insidiano.

Le squadre e i soggetti che hanno animato quelle coreografie, pur ostentando il loro contrasto in ogni occasione propizia, si sono mossi in realtà lungo le stesse direttrici. Hanno puntato i riflettori sul Papa, sulla sua figura, magari sui suoi slogan, mentre occultavano o neutralizzavano i tratti più elementarmente evangelici e apostolici del suo magistero. Gli unici realmente eversivi rispetto ai clericalismi di ogni foggia (compresi quelli di marca liberal).

La fortuna, per il presente e per il futuro, sta nel fatto che quei tratti apostolici e evangelici non sono proprietà privata di nessun Pontificato. Di lì si può sempre ricominciare, come aveva suggerito anche il Concilio Vaticano II indicando il “ritorno alle sorgenti” come via da percorrere per la Chiesa di ogni tempo. Questa è la maglia rotta nella rete. La possibile via di fuga rispetto a tutti i calcoli e le operazioni soffocanti che si stanno mettendo in moto intorno al nuovo Toto-Papa. E conforta anche la rassicurazione – offerta con umorismo proprio da Papa Francesco, nei primi mesi del suo Pontificato – che «Se una persona non vuole tanto bene a se stesso, Dio non lo benedice. E uno che vuole bene a se stesso, non vuole fare il Papa».