Appunti di Gianni Valente

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Gorbaciov, Sant’Agostino e la guerra in Ucraina

De mortuis nihil nisi bonum. Di chi è morto si dica solo il bene. Ora che ci ha lasciato, in tanti riconoscono la grandezza di Mikhail Gorbaciov (1931-2022), e rendono omaggio postumo a colui che fu l’ultimo Presidente dell’Unione Sovietica. Le mille sirene della propaganda occidentalista approfittano anche della sua morte per spargere su social e giornali un altro po’ di veleno contro i russi, accusati in massa di aver quasi cancellato il loro illustre connazionale dalla memoria collettiva, non riservandogli alcun onore come Padre della Patria, o addirittura svillaneggiandolo come complice del collasso dell’ultimo Impero guidato da Mosca.

Quando Gorbaciov era nel pieno della sua battaglia per la perestrojka (riforma sociale del sistema sovietico dall’interno), che sarebbe culminata nel putsch dell’agosto 1991 – il drammatico e patetico colpo di Stato fallito, tentato dei settori più rigidi della nomenclatura sovietica, che per eterogenesi dei fini rafforzò Boris Eltsin e la sua banda di liquidatori dell’Urss -, i circoli occidentali lo guardavano annaspare. E invece di offrire sponde al suo tentativo di cambiamento graduale del sistema, lo affossavano facendo i calcoli su quanto potevano guadagnare dal suo fallimento. Di lì a poco, tutto il Capitale occidentale e le istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca Mondiale, Banca europea di ricostruzione e sviluppo) avrebbero steso tappeti rossi all’affossatore Eltsin (tenace affossatore di Gorbaciov, feroce nel denigrare anche pubblicamente il suo antagonista) e al suo mix di ultra-nazionalismo russo alcolico e ultra-liberismo disegnato dai cervelli dei suoi “Chicago-Boys” leningradesi.

Il ricatto d’Occidente sul Vescovo di Roma

La guerra in atto in Ucraina, con il suo carico crescente di morte e distruzione, sta disvelando anche gli scenari reali della condizione del cristianesimo nelle vicende del mondo. Condizione che trova una sua singolare “cartina tornasole” nell’assillante assedio politico-ecclesiastico stretto intorno a Papa Francesco e alcuni suoi collaboratori della Santa Sede per estorcere da loro una esplicita scomunica “ad nationem” e “ad personam” della Russia di Putin e del suo Patriarca Kirill. Assedio destinato probabilmente a accentuarsi, fino a toccare punte d’isteria, dopo l’intervista pubblicata dal Corriere della Sera il 3 maggio, in cui Papa Francesco si dice pronto a volare a Mosca per parlare con Putin.

Non conosce tregua il martellamento politico-mediatico sui Palazzi vaticani per farli allineare a parole d’ordine e strategie messe in campo dai poteri d’Occidente sullo scenario dell’ultima guerra europea. Se ne fanno portavoce anche nunzi, ambasciatori accreditati in Vaticano, vescovi e pezzi di episcopati. Non bastano le parole e i gesti espressi pubblicamente e a ritmo quasi quotidiano dal Papa sul conflitto (da lui definito anche «aggressione armata», «oltraggio a Dio» «tradimento blasfemo del Signore della Pasqua»), i suoi baci alla bandiera ucraina, i suoi continui richiami a fermare il massacro, le sue inascoltate richieste per una tregua pasquale, e quelle a pregare il Rosario durante tutto il mese di maggio per implorare la pace. Tutto questo non è sufficiente. Se quella che dilania l’Ucraina – come ormai ripetono tutti – è una guerra tra la Russia e l’Occidente a guida nord-atlantica, anche il Papa non può credere di farla franca invocando preghiere. Anche lui deve solo far sapere con chiarezza da che parte sta. Deve allinearsi, manifestando il suo endorsement esplicito e chiaro a fianco di chi combatte per la difesa dei “valori occidentali”. Ogni minima esitazione equivale a un tradimento. Merita le rappresaglie che si applicano ai traditori nei tempi di guerra.

«Ciò che il governo USA vuole dal Sommo Pontefice è qualcos’altro: uno yes-man» scriveva lo scrittore e analista statunitense Victor Gaetan nel suo pregevole volume God’s Diplomats, pubblicato meno di un anno fa, dove attesta fin dalle prime pagine quanto il potere nordatlantico abbia sempre avuto come obiettivo costante nei rapporti con la Santa Sede l’allineamento papale e vaticano alle proprie linee strategiche, anche quando esse imboccano la via della soluzione dei problemi per via militare.

La storia degli ultimi decenni, ripercorsa anche nello studio di Victor Gaetan, attesta che il trattamento riservato al Papa da circoli e apparati d’Occidente risponde a riflessi condizionati conosciuti da tempo. Non è una questione personale. Non c’entrano gli orientamenti individuali del Papa regnante, le simpatie terzomondiste e “comuniste” attribuite a Bergoglio da tanti suoi detrattori. Tutt’altro. Per anni, anche tanti oligarchi dell’Occidente globale hanno vezzeggiato e alimentato l’icona pop del Papa scapigliato, descamisado romantico. Facevano la fila per fare la foto con lui, finché riuscivano a inquadrare gesti e parole pontificie nell’orizzonte dell’occidentalismo compassionevole, anche in versione liberal. Ma se poi dalla centrale parte l’ordine di allinearsi conto il nuovo “asse del male” russo-cinese, e il Papa non si schiera senza esitazioni contro Russia e Cina, allora i giri di valzer finiscono e possono scattare sanzioni ad personam anche contro di lui. Se va bene, esce dai riflettori – dopo tante chiacchiere sul “soft power papale” – e le sue parole cadono nel vuoto. Se va peggio, si arriva a accusare il Papa di cerchiobbottismo diplomaticista o di dissimulato filo-putinismo.

LE ARMI ALL’UCRAINA E IL FANTASMA DELLA “GUERRA GIUSTA”

«Il mondo è in maniera schiacciante dalla parte di Dio». Così pontificava il Presidente USA George Bush, mentre i bombardieri dell’operazione Desert Storm iniziavano a martellare l’Iraq di Saddam Hussein. Correva l’anno 1991. Alcuni mesi prima, nell’agosto del 1990, il rais iracheno aveva trascinato il suo Paese nella disastrosa invasione e annessione del Kuwait. La campagna militare avviata da una coalizione di 35 stati sotto l’egida degli USA e con il via libera dell’ONU aveva l’obiettivo dichiarato di “ripristinare la giustizia”, restaurando la sovranità violata del piccolo Emirato invaso. Nelle sue esternazioni, riportando in maniera confusa le dritte di qualche suggeritore teologico, il Presidente USA arrivò anche a citare «Tommaso Aquinate» e un certo «Ambrogio Agostino» (sic) per argomentare che anche la dottrina cristiana giustificava l’uso delle armi come strumento per ripristinare la giustizia violata.

Davanti alla guerra d’aggressione in atto in Ucraina, chi sostiene la scelta occidentale di inviare armi e altri strumenti di guerra ai combattenti ucraini per alimentare la loro resistenza procede lungo le stesse linee di pensiero a cui attingeva Bush padre più di 30 anni fa, anche quando evita di evocare il fantasma politicamente scorretto della “Guerra Giusta”. L’effetto collaterale che si punta a ottenere è anche quello di far apparire come pacifismo parolaio e imbelle ogni esitazione manifestata davanti alle armi inviate in Ucraina dai Paesi Nato (forniture confermate anche nel vertice a Bruxelles di giovedì 24 marzo). Per non parlare di Papa Francesco, che in una simile situazione continua addirittura a riconoscere come nefaste le politiche di aumento delle spese militari (linea imboccata, sull’onda del conflitto in Ucraina, da diversi Paesi europei, compresa l’Italia).

Chi sostiene l’urgenza di armare i resistenti ucraini unisce spesso argomenti di principio (fermare l’aggressore, difendere l’aggredito, legittima difesa) con richiami di forte impatto allo scempio che i media mostrano ogni giorno, da più di un mese. Ma quando qualcuno si spinge a cercare nella dottrina cristiana i principi per giustificare tale scelta urgente, finisce – come spesso accade – per manipolare in maniera illegittima e ideologica la stessa dottrina che invoca come fondamento dei propri argomenti (magari approfittando della ignoranza generalizzata intorno ai tratti anche più elementari di tale dottrina, o giocando di sponda con il vezzo di ridurre anche brandelli di dottrina in slogan accattivanti a misura di twitter).

In primis, conviene ricordare che Agostino e Tommaso sono vissuti in epoche in cui fanti e cavalieri combattevano per lo più con spade, lance e archi, catapulte. L’era atomica ha introdotto un fattore nuovo che modifica ogni scenario di guerra e che non è ragionevole ignorare. Lo accennava autorevolmente già Papa Giovanni XIII nell’enciclica Pacem in terris, notando che «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» (Pacem in terris, 67). Anche in una nota della Costituzione conciliare Gaudium et Spes (curiosamente dimenticata da commentatori con ostentate referenze “conciliari” che oggi giustificano l’invio di armi alle forze ucraine) si legge che «Nella nostra epoca, che si gloria della forza atomica, è contrario alla ragione essere sempre predisposti alla guerra per recuperare i diritti violati».

Se c’è un dato elementare e incontestabile della guerra in atto in Ucraina, è che essa contempla fin da prima del suo inizio come suo possibile esito l’apocalisse nucleare. Ma pur riconoscendo come ancora validi, nonostante l’era atomica, i quattro “principi” che legittimano secondo la dottrina cattolica l’uso delle armi, essi vanno comunque verificati empiricamente nelle circostanze date di questa guerra, la guerra che sta divampando in Ucraina.

La prima condizione è che la reazione armata sia la risposta a una grave violazione a un’ingiustizia inaccettabile da cancellare. E in effetti, l’invasione armata dell’Ucraina da parte della Russia di Putin si configura come una grave violazione del diritto internazionale, che sta seminando morte, odio e devastazione.

La seconda condizione è che siano state tentate tutte le vie per prevenire il conflitto, o per incanalare lo scontro, una volta iniziato, verso una soluzione negoziata. Già questa condizione non sembra abbinarsi con la scelta di Paesi occidentali di coinvolgersi direttamente sul piano militare, inviando armi e istruttori per i combattenti ucraini.

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