«Quel gran pittore dipingendo venticinque e trentasette volte le sue celebri, mirabili ninfee ha dipinto anche (e proprio in quello) un grande problema, un concentrato di grande problema, un problema di limite, un singolare problema di maximum e di minimum. Dato che ha dipinto venticinque e trentasette ninfee, anche se sono tutte uguali, quale sarà la migliore, la meglio dipinta? Quale sarà la volta migliore? Il primo impulso, l’impulso del buon senso, l’impulso logico, in un certo senso l’impulso meccanico è quello di dire: l’ultima, perché da una all’altra fino all’ultima continuamente acquista, guadagna, incamera (e trattiene ciò che si incamera) (condizione necessaria e sine qua non), sale sempre più. È un impulso illusorio. È proprio la teoria del progresso. La teoria dell’inganno e del disinganno. È l’idea, è la teoria del progresso temporale indefinito per l’uomo e per l’umanità. Abbiamo dimostrato che questa teoria, sostanzialmente moderna, è sostanzialmente, essendo all’interno del moderno, una teoria di risparmio e di cassa di risparmio, di fecola e provvista,  una teoria di (della) capitalizzazione e dell’era della capitalizzazione. E io ti dico: La creazione artistica, l’operazione non è affatto un’operazione di capitalizzazione borghese. Intanto che acquista ogni volta, intanto che guadagna, invecchia; mentre acquisisce mestiere, e abitudine (il guadagno), comincia anche, comincia ogni volta a invecchiare, acquista abitudine (la perdita), guadagna vecchiaia, acquisisce vecchiaia, guadagna di perdere. Perde la freschezza, perde l’innocenza prima, quel bene unico che non si può rinnovare. E io ti dico: La prima volta sarà la migliore, piuttosto, perché è la meno abituata; la prima ninfea sarà la migliore, perché è la nascita stessa; e l’alba dell’opera; perché ha il maximum di ignoranza, il maximum di innocenza e di freschezza; anche se sono tutte uguali, la prima ninfea è la migliore, perché sa di meno, perché non sa. No, non l’ultima, proprio no, perché l’ultima sa di più. Assolutamente no, se sa tutto. L’abitudine, che (grande) forza; che gran debolezza.

Tutto il problema del genio è proprio là. L’ultima ninfea sarebbe la migliore parlando nella lingua della logica, se la realtà consentisse di parlare la lingua della logica. Ma lei, la taccagna, non lo consente. L’ultima ninfea sarebbe la migliore se si seguisse la teoria, la logica della capitalizzazione capitalista moderna, se la realtà consentisse di essere proprietari di quel libretto di risparmio, ma lei, la sperperatrice, non lo consente; la natura non lo consente affatto, la natura pezzente e miliardaria, mai povera, mai saggia, tutta piena e tutta tronfia della sua rigogliosa fecondità.

E allora te lo dico: La prima sarà la migliore, perché non sa, perché è lei che è ancora tutta piena di stupore, anche se sono tutte uguali, tutta piena di θαυμάζειν e di novità. È tutto un problema di genio, anzi, tutto il suo problema temporale è forse là: guadagnare, se si può (ma questo non è molto importante), ma senza perdere; guadagnare, acquisire mestiere, Dio mio, sì, ma, soprattutto, essenzialmente, non perdere in stupore e novità, non perdere il fiore, se è mai possibile non perdere neanche un atomo di stupore. È la prima che conta. È lo stupore che conta, principio indiscusso di scienza, come ha detto quell’Antico, ma non tanto principio di scienza quanto davvero e realmente, quanto infinitamente di più tra i più profondi princìpi dell’adorazione».

Charles Péguy, “Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale“, traduzione di Cristiana Lardo