«Il mondo è in maniera schiacciante dalla parte di Dio». Così pontificava il Presidente USA George Bush, mentre i bombardieri dell’operazione Desert Storm iniziavano a martellare l’Iraq di Saddam Hussein. Correva l’anno 1991. Alcuni mesi prima, nell’agosto del 1990, il rais iracheno aveva trascinato il suo Paese nella disastrosa invasione e annessione del Kuwait. La campagna militare avviata da una coalizione di 35 stati sotto l’egida degli USA e con il via libera dell’ONU aveva l’obiettivo dichiarato di “ripristinare la giustizia”, restaurando la sovranità violata del piccolo Emirato invaso. Nelle sue esternazioni, riportando in maniera confusa le dritte di qualche suggeritore teologico, il Presidente USA arrivò anche a citare «Tommaso Aquinate» e un certo «Ambrogio Agostino» (sic) per argomentare che anche la dottrina cristiana giustificava l’uso delle armi come strumento per ripristinare la giustizia violata.
Davanti alla guerra d’aggressione in atto in Ucraina, chi sostiene la scelta occidentale di inviare armi e altri strumenti di guerra ai combattenti ucraini per alimentare la loro resistenza procede lungo le stesse linee di pensiero a cui attingeva Bush padre più di 30 anni fa, anche quando evita di evocare il fantasma politicamente scorretto della “Guerra Giusta”. L’effetto collaterale che si punta a ottenere è anche quello di far apparire come pacifismo parolaio e imbelle ogni esitazione manifestata davanti alle armi inviate in Ucraina dai Paesi Nato (forniture confermate anche nel vertice a Bruxelles di giovedì 24 marzo). Per non parlare di Papa Francesco, che in una simile situazione continua addirittura a riconoscere come nefaste le politiche di aumento delle spese militari (linea imboccata, sull’onda del conflitto in Ucraina, da diversi Paesi europei, compresa l’Italia).
Chi sostiene l’urgenza di armare i resistenti ucraini unisce spesso argomenti di principio (fermare l’aggressore, difendere l’aggredito, legittima difesa) con richiami di forte impatto allo scempio che i media mostrano ogni giorno, da più di un mese. Ma quando qualcuno si spinge a cercare nella dottrina cristiana i principi per giustificare tale scelta urgente, finisce – come spesso accade – per manipolare in maniera illegittima e ideologica la stessa dottrina che invoca come fondamento dei propri argomenti (magari approfittando della ignoranza generalizzata intorno ai tratti anche più elementari di tale dottrina, o giocando di sponda con il vezzo di ridurre anche brandelli di dottrina in slogan accattivanti a misura di twitter).
In primis, conviene ricordare che Agostino e Tommaso sono vissuti in epoche in cui fanti e cavalieri combattevano per lo più con spade, lance e archi, catapulte. L’era atomica ha introdotto un fattore nuovo che modifica ogni scenario di guerra e che non è ragionevole ignorare. Lo accennava autorevolmente già Papa Giovanni XIII nell’enciclica Pacem in terris, notando che «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» (Pacem in terris, 67). Anche in una nota della Costituzione conciliare Gaudium et Spes (curiosamente dimenticata da commentatori con ostentate referenze “conciliari” che oggi giustificano l’invio di armi alle forze ucraine) si legge che «Nella nostra epoca, che si gloria della forza atomica, è contrario alla ragione essere sempre predisposti alla guerra per recuperare i diritti violati».
Se c’è un dato elementare e incontestabile della guerra in atto in Ucraina, è che essa contempla fin da prima del suo inizio come suo possibile esito l’apocalisse nucleare. Ma pur riconoscendo come ancora validi, nonostante l’era atomica, i quattro “principi” che legittimano secondo la dottrina cattolica l’uso delle armi, essi vanno comunque verificati empiricamente nelle circostanze date di questa guerra, la guerra che sta divampando in Ucraina.
La prima condizione è che la reazione armata sia la risposta a una grave violazione a un’ingiustizia inaccettabile da cancellare. E in effetti, l’invasione armata dell’Ucraina da parte della Russia di Putin si configura come una grave violazione del diritto internazionale, che sta seminando morte, odio e devastazione.
La seconda condizione è che siano state tentate tutte le vie per prevenire il conflitto, o per incanalare lo scontro, una volta iniziato, verso una soluzione negoziata. Già questa condizione non sembra abbinarsi con la scelta di Paesi occidentali di coinvolgersi direttamente sul piano militare, inviando armi e istruttori per i combattenti ucraini. La rappresentazione politico-mediatica del conflitto che prevale nei Paesi occidentali accredita la guerra in Ucraina come episodio fatale, rivelatore di uno scontro “valoriale” e di sistema tra Occidente e Russia, destinato a protrarsi nel tempo a venire.Uno scenario in cui si giustifica l’opzione militare proprio perché si considerano vane e illusorie le altre vie da tentare per fermare lo spargimento di sangue innocente. Da settimane, il susseguirsi di dichiarazioni, incontri e conversazioni bilaterali, dichiarazioni e video-messaggi, vertici internazionali all’insegna del «daremo più armi a Kiev» non dà l’impressione di perseguire come primo obiettivo il cessate il fuoco e l’avvio di trattative per porre fine alla guerra.
La terza condizione per considerare legittima in termini di dottrina ecclesiale un’azione militare è che si abbia la ragionevole prospettiva di concludere in tempi anch’essi ragionevoli una pace giusta, cioè di risolvere attraverso la guerra le ingiustizie preesistenti. L’invio di armamenti a Kiev non sembra adempiere nemmeno a questa condizione. L’esito prevedibile di tale scelta, visto il perdurante dislivello tra le forze militari della Russia e dell’Ucraina, è di cronicizzare il conflitto sul terreno ucraino, magari immaginando di logorare in questo modo il “fronte interno” russo. Calcoli che finirebbero per dare ragione alle analisi di chi vede la guerra in Ucraina incancrenirsi verso scenari simili a quelli realizzatisi nei conflitti-pantano in Siria o Vietnam.
La quarta condizione è che non si impongano, per quanto possibile, maggiori distruzioni e sofferenze agli innocenti. E anche questa condizione non appare essere tenuta in conto dalla scelta di inviare armamenti a sostegno dell’Ucraina. Se quella di Putin prova inutilmente a giustificarsi come una sorta di “guerra preventiva”, le dirigenze occidentali che inviano armi a Kiev per combattere l’esercito invasore russo sembrano oggettivamente avvicinarsi al modello delle “Proxy Wars”, le “guerre per procura” già tristemente sperimentate negli ultimi decenni soprattutto in Medio Oriente e in Africa come terreno di scontro “per interposta nazione” tra potenze geopolitiche globali e regionali. Un modello che mette sempre sul conto come “prezzo da pagare” le sofferenze degli innocenti. Che in questo caso sono ucraini. Vecchi e bambini, uomini e donne.
Il revival sotto mentite spoglie del fantasma della Guerra Giusta, mentre prova a puntellarsi con vaghi richiami ai principi della dottrina cristiana, occulta e manomette i fattori sorgivi di quella stessa dottrina, che per sua natura non si configura mai come idealistico sforzo di adeguare e far rientrare la realtà in astratti schemi ideologici. I criteri e i principi suggeriti dalla dottrina vanno sempre applicati tenendo conto dei fattori di realtà, e esprimono sempre uno sguardo realista sulla storia umana, segnata dal male, e sulla natura umana, segnata dal Peccato originale. In tale applicazione, conviene sempre tener conto delle condizioni date, e anche del fatto che non esistono dogmi di fede da imporre e sbandierare quando ci si avventura sul terreno scivoloso dei giudizi storici.
Davanti allo scempio della guerra in Ucraina, e di ogni guerra, il criterio più ragionevole da seguire appare quello di favorire tutto ciò che aiuta a prevenire il dolore innocente, il dolore dei bambini, o almeno tutto ciò che lo riduce e lo allevia. È quello che sta ripetendo Papa Francesco. È quello che hanno detto in tempi e modi diversi tutti gli ultimi Papi, da Benedetto XV in poi, davanti ai conflitti moderni. Ricordando sempre a tutti che «Con le armi non si risolvono i problemi, ma si creano nuove e maggiori tensioni tra i popoli» (Giovanni Paolo II).