All’inizio dell’anno, come accade ogni anno, il Papa ha ricevuto in Vaticano gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede e ha detto la sua sullo stato del mondo. Lo ha fatto la mattina di lunedì 10 gennaio, nell’Aula della Benedizione del Palazzo apostolico.

La routine dell’udienza annuale concessa dal Papa ai rappresentanti degli Stati accreditati può far perdere di vista la singolare anomalia che in essa trova espressione: il “miracolo storico” di una comunità di fede che viene riconosciuta e legittimata dalle nazioni e dai governi del mondo come un soggetto sovrano, accreditato a intervenire diplomaticamente sugli scenari internazionali. A volte, anche i commenti all’evento non aiutano a cogliere tratti e risvolti di tale anomalia, appiattendo l’evento a occasione per stilare la lista di pareri papali riguardo alle “emergenze” del momento (magari condita con qualche luogo comune che mitizzi la diplomazia papale o la liquidi come un reperto pittoresco dell’Ancien Régime).

Quest’anno, a dire il vero, un libro da poco pubblicato in inglese si offre come strumento formidabile per cogliere e documentare tutti i fattori – storici e genetici – che concorrono a determinare la singolarità della rete diplomatica del Papa e alimentano il suo imparagonabile modus operandi nella scena del mondo. Si intitola God’s Diplomats, e lo ha scritto Victor Gaetan, giornalista e scrittore, corrispondente internazionale di lungo corso del National Catholic Register, collaboratore delle riviste Foreign Affairs e America.

Il testo, pubblicato dalla casa editrice statunitense Rowman & Littlefield e corredato di un sottotitolo carico di suggestioni (Pope Francis, Vatican Diplomacy, and America’s Armageddon), si muove in orizzonti larghi, e ragiona sui tempi lunghi, quelli non contemplati dalla dittatura degli istant-book. Proprio per questo rappresenta una vera e propria miniera di spunti e dati utili a illuminare anche il presente della Chiesa.

Dentro le 472 pagine del volume, fornito di un sontuoso apparato di note, si gioca la scommessa di documentare o per lo meno suggerire sorgenti e effetti della diplomazia papale come fenomeno “uguale ma diverso”. Realtà strutturata pienamente immersa nella rete e nella prassi dei rapporti tra soggetti geopolitici, eppure segnata da connotati che a tratti lasciano trasparire la sorgente intima e misteriosa che alimenta la sua anomalia genetica.

Il cattolicesimo – rimarca a più riprese Victor Gaetan – è l’unica comunità universale di fede internazionalmente riconosciuta come entità sovrana sui generis”, titolare di una “personalità internazionale” che le consente di esercitare prerogative diplomatiche riservate agli Stati sovrani. L’autore scandaglia le origini della diplomazia papale e scorge il suo primo germe negli Apocrisari papali, i messi che il Papa inviava fin dal V secolo come propri rappresentanti stabili presso la Corte imperiale di Bisanzio. Ma la rete e le attività diplomatiche della Santa Sede vengono riconosciute soprattutto come eredità storica delle lunghe epoche in cui la Roma papale è stata centro politico pienamente immerso nel grande e mutevole gioco dei poteri mondani. A partire dal Medioevo, quando la Chiesa e il Papa erano al centro dei processi di legittimazione delle successioni dinastiche e degli assetti di potere, fino ai lunghi secoli in cui il Pontefice e lo Stato Pontificio sono stati attori storicamente coinvolti nel sistema di rapporti e conflitti tra Stati premoderni e moderni.

La perdurante proiezione/esposizione diplomatica del Papato e della Chiesa cattolica – ripete Victor Gaetan – è soprattutto un prodotto della storia, e ha preso forma nell’intreccio di circostanze e emergenze contingenti. Il suo esserci non si giustifica con nessun “diritto divino”, e mantiene un suo tratto di accidentalità, di occasionalità. Tutta la rete diplomatica della Santa Sede potrebbe evaporare domani, e la Chiesa cattolica potrebbe continuare a camminare nella storia senza veder compromesso nessun dato essenziale della sua natura sacramentale e apostolica. Ma nel mutare dei tempi, quel “prodotto” distillato in processi temporali lunghi e imprevedibili, non riproducibile con tecniche di ingegneria istituzionale, con tutto il bagaglio della sua vicenda millenaria, può offrirsi come strumento riadattabile e prezioso nei nuovi contesti che la Chiesa è chiamata affrontare lungo la storia. Anche per questo – è il sottotesto che percorre tutto il ponderoso saggio – sarebbe da criminali smantellare tale strumento in nome di presunte spiritualizzazioni e de-mondanizzazioni della compagine ecclesiale.

La natura sui generis della Chiesa cattolica come realtà pubblica, immersa nel flusso delle vicende storiche e coinvolta nella rete delle relazioni con i Poteri sovrani, si riflette a modo suo anche nei tratti singolari che connotano il modus operandi della diplomazia vaticana, rendendola non del tutto riconducibile ai paradigmi della prassi diplomatica e politica internazionale. La missione di annunciare il Vangelo, e il riferimento di fondo alla legge naturale, pur nelle avvilenti contraddizioni e negli infiniti tradimenti di cui hanno dato e danno spettacolo gli uomini di Chiesa, continuano instancabilmente a funzionare come bussole su cui ricalibrare l’utilizzo dello strumento diplomatico. Una dinamica che riesce a dispiegarsi in forma compiuta proprio e solo quando la Chiesa cattolica viene liberata dal fardello ingombrante dello Stato Pontificio e del potere temporale, che pure avevano rappresentato il terreno storico di incubazione della diplomazia papale. Proprio umiliazioni e spoliazioni subite dal Papato a opera dei poteri del mondo – attestano ripetuti affondi disseminati nel volume di Victor Gaetan – aiutano a conformare meglio alla missione propria della Chiesa lo strumento diplomatico. Si affina e potenzia la sua attitudine a declinare in prassi, linguaggi e criteri operativi i fattori – in primis l’ispirazione evangelica e il riferimento alla legge naturale – che orientano l’approccio e gli interventi della Santa Sede ai fatti del mondo. Sono quelle che l’autore individua e elenca come le «pratiche di lungo corso» (long standing vatican practices) della iniziativa diplomatica e geopolitica papale: la premura di non farsi schiacciare da una parte o dall’altra, nelle situazioni di conflitto, e a non sponsorizzare prospettive politiche partigiane; il contributo a superare gli scontri geopolitici senza creare vincitori “trionfalisti” e perdenti umiliati e risentiti, se si vuole davvero custodire la pace dai rigurgiti dell’odio; l’attitudine a cercare e favorire il dialogo con tutti, compresi interlocutori bollati come “impresentabili” nelle Cancellerie delle grandi potenze e nelle istituzioni sovranazionali; la propensione a usare fino allo stremo le risorse umane della pazienza per sciogliere nodi in apparenza inestricabili, senza usare ricatti e far saltare i tavoli.

L’opera di Victor Gaetan è anche un repertorio inesauribile di fatti e situazioni in cui le “long standing practices” hanno manifestato nelle circostanze concrete un approccio realista e lungimirante alle vicende del mondo. Con la permanente tensione a tessere reti, a valorizzare canali di comunicazione riservata, a cercare “terreni comuni” per provare a comporre interessi diversi e contrastanti, privilegiando sempre le vie e le soluzioni che nel mattatoio della storia risparmiano sofferenza alle persone concrete. «Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime» affermava Pio XI, il Papa dei Patti Lateranensi che posero fine alla “Questione Romana“, citato da Gaetan «Ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona» (discorso ai professori e agli alunni del Collegio Mondragone, 14 maggio 1929).

Un dato singolare, segnalato a più riprese dall’autore, è che in epoca contemporanea, prima e soprattutto dopo la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi, a accreditare la Santa Sede come entità sovrana, fino a integrarla nel sistema moderno delle relazioni tra gli Stati, è la rete stessa dei poteri del mondo. Tale dinamica affiora già al Congresso di Vienna (1815), che ridisegnava la carta dell’Europa dopo la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, dove la partecipazione della Santa Sede come attore internazionalmente riconosciuto fu garantita da Nazioni non cattoliche come Prussia, Russia, Svezia e Inghilterra. La fine dello Stato Pontificio non distrugge, ma trasfigura e accresce in maniera paradossale la “personalità” diplomatica e internazionale della Santa Sede: proprio con il tramonto del potere temporale dei Papi si assiste a una costante crescita della autorevolezza internazionale della Sede apostolica, soggetto generalmente benvoluto e ascoltato nella rete delle relazioni inter-statuali proprio perché i suoi interventi e le sue sollecitazioni esprimono registri di saggezza, obiettività e lungimiranza non condizionati dalla necessità di difendere proprie prerogative e interessi territoriali, economici o militari.

Anche le potenze impegnate a spartirsi il mondo sembrano in qualche modo apprezzare, per lo meno a intermittenza, il fatto che sulla scena internazionale operi un soggetto dotato di una autorevolezza disarmata, ininfluente sul piano strategico-militare, e proprio per questo libero di esercitare un fecondo “trasversalismo”, affrancato da ogni allineamento e arruolamento obbligato nei diversi e cangianti assi di potere che si confrontano sugli scenari regionali e su quelli globali.

Così, nelle vie occasionali e fortuite sospese alle incognite dei tempi, anche oggi può capitare di riavvertire nella Chiesa l’approccio agli ordinamenti mondani che era eredità cristiana delle origini, e è stato riproposto dal Concilio Vaticano II: quella simpatia realista per la Città degli uomini che, sulle orme di Sant’Agostino, non considera gli assetti mondani di potere come un regno del male, giocattolo di un dio maligno da superare attraverso vie “interiori” o deliri palingenetici di matrice gnostica. E’ lo sguardo cristiano sulla vicenda umana, che gode della pace terrena e dei frutti materiali e spirituali della convivenza sociale, riconoscendoli come doni da assaporare con gratitudine, mentre prova commossa e fraterna ammirazione per le aspirazioni di pace, per le virtù e le dedizioni che sostengono progetti politici volti a garantire la concordia tra gli individui e le nazioni; e nel contempo riconosce con realismo che sul campo della storia umana il grano cresce sempre mescolato alla zizzania, e la Chiesa non è mai una città fortificata di fronte, contro il mondo. È l’approccio che ha come figura paradigmatica di permanente suggestione l’immagine di Papa Leone Magno che tratta con Attila Re degli Unni e poi con i Vandali per chiedere che le genti di Roma siano risparmiate dalle violenze delle loro incursioni, che segnano il collasso dell’Impero romano d’Occidente. Già allora – rileva nel suo libro Victor Gaetan – la mediazione del Papa protegge le chiese e i battezzati, ma salva anche tutti gli altri, non separando la sorte dei cristiani da quella dei loro compagni di cammino. Perché la Città di Dio, che nasce momento per momento dall’attrattiva della grazia (Sant’Agostino), vuole il bene e la prosperità della città terrena, con cui vive mescolata lungo la storia, proprio mentre confessa per tutta la storia che «il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa» (Paolo VI, Credo del Popolo di Dio, domenica 30 giugno 1968).

(Continua)